Dalle sue parti si usa la parola “contundente” per definire la bontà di una prestazione. E non c’è dubbio che la settimana di Federico Coria sia straordinaria. “È sicuramente la prima volta che arrivo in finale perdendo dieci game in tutto il torneo – racconta – la verità è che sto giocando un tennis solido, spero di proseguire su questo cammino e che domani sia uguale, in modo da ottenere il titolo che mi è sfuggito l’anno scorso”. Battendo 6-4 6-1 il rampante Alexander Shevchenko, allievo di Gunther Bresnik, l’argentino ha raggiunto la seconda la finale all’ASPRIA Harbour Club, e anche stavolta se la vedrà con un giocatore italiano. Per lui sarà la partita numero 801 nel circuito professionistico dopo aver fatto cifra tonda in una partita dominata nel secondo set dopo un primo “a fisarmonica”: 2-0 Coria, 2-2, 4-2, 4-4 e poi 6-4 per l’argentino. Il forcing vigoroso ma disordinato di Shevchenko si è scontrato con l’impressionante fase difensiva di Coria, che magari non sarà forte come il fratello maggiore Guillermo, ma è davvero complicato da sfondare. “800 partite? Non conoscevo questo dato… sono davvero molte!” ha detto Coria, che a Milano è accompagnato da Andres Schneiter, detto El Gringo, ex buon doppista che è considerato un coach di prima fascia in virtù dei grandi risultati ottenuti con Mariano Puerta (finale al Roland Garros) e Cristian Garin (portato tra i top-20). “Ha fatto in modo che avessi fiducia in me – dice Coria – ha svegliato qualcosa che era nascosto in qualche angolo della mia mente, prima non avevo fiducia nel mio tennis. Mi ha fatto scoprire il mio lato competitivo e adesso credo di essere un giocatore difficile da battere, molto fisico, che costringe l’avversario a giocare sempre una palla in più. Buona parte della mia crescita è dovuta a lui”. In effetti è ormai stabile tra i top-100, ha giocato una finale ATP (Bastad 2021), due semifinali e cinque quarti.
L’AMATA TERRA BATTUTA
Niente a che vedere con i tanti anni trascorsi nel circuito ITF, a caccia di un salto di qualità che non arrivava mai. Per questo ha giocato il 95% (754) delle sue partite sulla terra battuta. “Prima di essere un giocatore da Challenger preferivo la terra battuta, per un argentino è normale perchè da noi non ci sono campi in cemento. Ma se continuo a migliorare in classifica giocherò di più sul cemento, sia negli Stati Uniti che in Australia”. A quel punto interviene proprio Schneiter, seduto accanto al suo allievo durante la chiacchierata. “La statistica fa impressione, ma è così perché lui ha impiegato molto a diventare top-100. Se ci arrivi a 20-21 anni come ha fatto Sebastian Baez è molto diverso. Se sali in classifica, è il circuito a portarti a giocare molto sul cemento” Bene, ma l’idea di coach Schneiter è di farlo giocare di più sul duro? “Sicuro. Noi vogliamo assolutamente migliorare sul cemento, ma ogni tanto bisogna tenere conto delle situazioni: per esempio, in queste settimane abbiamo saltato l’erba perché l’anno scorso aveva raccolto molti punti in questo periodo, quindi era un discorso di classifica. Però l’idea è farlo crescere sul cemento”. La domanda sulle superfici era anche in chiave Coppa Davis, visto che l’Argentina è inserita nel girone dell’Italia alle Davis Cup Finals. Dal 13 al 18 settembre, l’albiceleste sfiderà anche gli azzurri sul cemento indoor di Bologna. “Per essere convocato dovrò fare buone cose sul cemento americano per complicare la vita al capitano, che è anche mio fratello – riprende la parola Coria – in questo momento ci sono giocatori che stanno facendo meglio di me come Schwartzman, Baez e Cerundolo. Per entrare in squadra devo giocare bene, altrimenti darò il massimo sostegno da fuori”.
NIENTE PIÙ FANTASMI
Avendo citato il fratello, è inevitabile ricordare le difficoltà di inizio carriera, quando Federico era travolto dal paragone con Guillermo, numero 3 ATP e finalista al Roland Garros. Per lui, il paragone era quasi una tragedia. “Mio fratello rappresenta molto nella mia vita, ed è vero che ero nervoso sul campo da tennis per il solo fatto di essere suo fratello. Mi succedeva da piccolo, quando muovevo i primi passi nel professionismo e non volevo tutta quell’attenzione. Oggi ho 30 anni e sto facendo il mio cammino, mi sono lasciato tutto alle spalle e non mi dà più alcun fastidio”. La sensazione è che tanta gavetta abbia rafforzato corpo e spirito di Coria, e che il meglio della sua carriera debba ancora venire. Quando gli abbiamo chiesto quanto tennis gli resta davanti, ha risposto con decisione: “Toccando ferro, fisicamente sono integro e mi sento molto giovane. In fondo sono entrato tra i top-100 a 28 anni e ho molta fame. Mi sento come se ne avessi 25, quindi credo di avere almeno altri 5-6 anni di carriera”. Quanto ai sogni, non dimentica le origini e i tanti anni nelle retrovie, dunque vola basso: “Mi piacerebbe entrare tra i top-50”. Soltanto quello? “Beh, sarebbe spettacolare arrivare nella seconda settimana del Roland Garros, poi sarebbe incredibile vincere un torneo ATP: in fondo ho già giocato una finale e due semifinali, prima o poi arriverà il momento. Adesso voglio vincere a Milano e presentarmi al massimo nei tre tornei estivi sulla terra: Bastad, Amburgo e Kitzbuhel”. Wimbledon non lo menziona neanche, anche se lunedì esordirà contro Jiri Vesely. Ma verrà il tempo anche per quello.